Mauro Corona
Alcuni video su Corona
"Il vino annienta la volontà.
Da questo rischio mi
ha salvato la natura.
La fuga solitaria in mezzo ai boschi,
nelle baite, sotto gli antri,
nelle caverne come gli uomini primitivi,
nei rifugi d'alta quota o sulle cime,
al cospetto del Creato,
della sua forza, della sua energia."
.............
" Tutti i sindaci di un certo valore hanno l'autista,
io invece ho l'autista sindaco....è una cosa splendida "
.............
Vittorio Sgarbi, ai tempi, quando era sottosegretario
alla cultura (o qualcosa del genere) si è recato a Erto (in occasione di una
cerimonia di commemorazione) e poi a trovare Corona presso il suo laboratorio di
scultura.
Tra le varie cose che ha notato, scolpite da Corona, c'era un bellissimo Cristo
in croce scolpito nel legno.
Ha chiesto quanto valesse quella scultura e che la voleva acquistare allora
Mauro gli ha detto il prezzo.
Dopo aver trattato sul prezzo e fatto l'affare con una stretta di mano, il buon
Mauro, con la flemma (cosa che lo contraddistingue) glielo ha preparato.
A questo punto, con un ghigno arrogante e straffotente, lo Sgarbi gli ha passato
un assegno che valeva la metà della cifra pattuita per l'acquisto.
Mauro ha letto la cifra dell'assegno e sempre con molta flemma ha preso la
scultura è andato in una stanza del laboratorio sotto lo sguardo perplesso del
critico e dei vari politici presenti
(Sgarbi pensiero: dove ca@@o starà andanto sto uomo??? Ahhh...forse a scrivermi
una dedica!!!).
Nell'altra stanza si è sentito il rumore di una motosega che veniva accesa e il
conseguente rumore della motosega al lavoro.
Dopo un minuto Mauro è ritornato dal laboratorio con metà della scultura (metà
Cristo!!!), l'ha data a Sgarbi e lo ha invitato cortesemente ad andarsene.
Dicono che aver visto la faccia di Sgarbi in quel momento non aveva prezzo......
Mauro Corona è nato il 9 agosto del
1950.
Nonostante attorno alla nascita e alla vita del nostro siano fiorite e sorgano
tuttora diverse leggende metropolitane – alcune persone si stupiscono ancora del
fatto che non superi i due metri di altezza – questa che segue è la sua vera
storia.
Rischiare la pelle diventa subito una questione con la quale farà spesso i
conti: ancora in fasce, viene colpito da una brutta polmonite che gli lascia
poche possibilità di sopravvivenza. Ma quando attorno al suo capezzale vengono
accesi ormai anche quattro ceri, le preghiere della nonna Maria, giunta apposta
da Erto, restano l’unica speranza cui affidarsi, Mauro guarisce miracolosamente.
Non ci dovremmo proprio stupire se oggi si ritrova ad essere un carpino con la
scorza dura e tenace come quella del corniolo.
Mauro trascorre quasi sei anni a Piné, ma non ricorda molto di quel periodo. Poi
la famiglia decide di riportare lui e il fratello Felice, nato nel 1951, al
paese d’origine, Erto, un pugno di case incassato nella valle del torrente
Vajont, ultimo baluardo del Friuli occidentale. Mauro conosce i nonni paterni
Felice e Maria, e Tina, la zia sordomuta. Trascorre l’infanzia nella Contrada
San Rocco, assieme ad altri coetanei ertani. Alcuni di loro, Silvio, Carle,
l’Altro Carle, Meto, Piero, Basili, diventeranno suoi inseparabili amici.
L’amore per la montagna e per l’alpinismo gli entra nel sangue durante le
battute di caccia ai camosci al seguito del padre sulle cime che circondano il
villaggio.
Appena tredicenne in agosto scala il monte Duranno ed è del 1968, a diciotto
anni, la prima via aperta sulla Palazza.
La madre abbandona la famiglia pochi mesi dopo la nascita del terzo figlio,
Richeto, e passeranno diversi anni prima che faccia ritorno a Erto. Oltre al
grande vuoto, da buona lettrice lascia ai figli un patrimonio di libri non
indifferente, che Mauro comincia a divorare facendosi compagnia con i personaggi
e le storie creati da Tolstoj, Dostoevskyj, Cervantes e altri grandi autori.
Ai nonni resta il compito di tirare su i ragazzi. Dal vecchio Felice, abilissimo
intagliatore, Corona apprende sin da bambino i rudimenti della scultura. Ma è
l’unico in casa a divertirsi incidendo cucchiai e mestoli di legno con occhi,
nasi, volti.
Nel frattempo frequenta la scuola elementare fino all’ottava classe a Erto, poi
inizia le medie a Longarone. Ma il 9 ottobre 1963 la gigantesca ondata del
Vajont spazza letteralmente via la cittadina. Mauro, insieme al fratello Felice,
sarà costretto allora a trasferirsi per tre anni nel Collegio Don Bosco di
Pordenone, dove furono mandati a studiare alcuni giovani sfollati dopo la
tragedia, che colpì anche Erto.La nostalgia, il disagio, il senso di prigionia e
di esclusione, la mancanza degli spazi liberi, dei boschi, sono i sentimenti che
prevalgono nel corso di quel lungo periodo. Ma resta anche la riconoscenza verso
alcuni insegnanti, sacerdoti salesiani, che rafforzano il suo amore per la
letteratura e lo incoraggiano nello studio. Quando finalmente i due fratelli,
terminato il collegio, tornano a Erto, Mauro, da sempre consapevole della sua
profonda passione, vorrebbe frequentare la Scuola d’Arte di Ortisei. Per tutta
risposta viene iscritto all’Istituto per Geometri Marinoni di Udine, perché era
gratuito.
Il momento in cui si impegna di più in due anni è durante un compito in classe
di disegno tecnico. Riesce a ottenere soltanto il peggiore esempio di come
andava svolto l’elaborato, cosa che l’insegnante ha la delicatezza di
sottolineare di fronte ai compagni. Dopo questo episodio viene ritirato dalla
scuola, visto che per ribellione non segue più le lezioni, preferendo leggere
Tex in classe.
Nemmeno Felice continua gli studi: nel 1968 parte per la Germania con la
speranza di di guadagnare qualche soldo impiegandosi in una gelateria, desiderio
inseguito da molti giovani in quegli anni. Nemmeno tre mesi dopo annegherà in
una piscina di Paderborn, a diciassette anni. Mauro lascia il posto da manovale
che aveva trovato a Maniago e va a spaccare massi nella cava di marmo del monte
Buscada. «Sette anni di lavori forzati come dannati di pietra» ricorda oggi. Ma
a lui non importa, gli basta rimanere a contatto con gli amati luoghi
dell’infanzia, con quelle cime, quelle foreste e quei prati che tanto gli
ricordano la gioventù. Sospende l’attività solamente durante il periodo del
servizio militare, a vent’anni. Con i capelli lunghi fino alle spalle, lascia i
monti e parte per l’Aquila arruolato negli alpini. Da lì finisce a Tarvisio
nella squadra sciatori.
Si congeda con un mese di ritardo, causa trentadue giorni di Cella Punizione
Rigore. In tutto sono sedici mesi, due compleanni.
Su alla cava, dopo il pensionamento del capo storico, Argante Gattini, e con
l’inesorabile avanzare del progresso, la vita comincia a cambiare. Poco a poco
tutti gli operai abbandonano il campo, alla ricerca di altre strade per
sopravvivere. Il lavoro si automatizza, ma il giacimento va avanti ancora per
poco. Chiuderà negli anni ottanta. Mauro ci passa ancora le giornate come
scalpellino riquadratore quando un fatto inatteso lo convince a tentare la sorte
con la scultura. Nei ritagli di tempo e durante i lunghi mesi invernali, non
aveva mai smesso di intagliare figurine in legno, camosci, scoiattoli, uccelli e
Madonnine. Li teneva nascosti, non mostrandoli a nessuno per pudore e timidezza.
Una mattina del 1975 un distinto signore di Sacile, Renato Gaiotti, passa per
caso in via Balbi, davanti al minuscolo covo dove già da qualche anno Mauro
abita in beata solitudine, non distante dalla casa dei genitori, nella vecchia
Erto. Il foresto nota alcune piccole sculture attraverso i vetri della finestra
al pianterreno e decide di comprarle tutte in blocco. Mauro comincia a sperare
davvero di poter vivere d’arte e la sua fiducia si rafforza quando, soddisfatto
dell’acquisto, poco tempo dopo Gaiotti gli commissiona una Via Crucis da donare
alla Chiesa di Sacile. Per quei quattordici pannelli l’uomo lascia sul tavolo di
uno sbalordito Corona due milioni, una cifra stratosferica negli anni settanta.
Sembra incredibile, eppure è una svolta: oltre a procurarsi tutto il necessario
per rendere vivibile la sua tana, Mauro investe il resto dei soldi
nell’attrezzatura indispensabile a scolpire e decide di trovarsi un maestro che
gli possa insegnare seriamente il mestiere. La scelta ricade su Augusto Murer,
il geniale artista di Falcade morto nel 1985. Riesce a frequentare il suo studio
solo di tanto in tanto, ma lo fa per dieci anni, ampliando enormemente le sue
conoscenze tecniche e artistiche. Tra i due nasce una bella amicizia e Murer
sarà presente anche alla prima mostra che Mauro organizza a Longarone. E’ il
1975. Da allora le esposizioni sono seguite numerose e nei luoghi più disparati,
fino in Svizzera. L’ultima è del 1997, quando lo Spazio Foyer del Centro Servizi
Culturali Santa Chiara di Trento fu invaso dal Bosco Scolpito di Corona. Ma non
è detto che i viaggi delle sue sculture restino fermi a quella data.
Mauro intanto non trascura certo l’altra sua grande passione, l’arrampicata. Nel
1977 comincia ad attrezzare le falesie del Vajont, che si affacciano sulla zona
del disastro, destinate a diventare meta fondamentale dei climbers di tutto il
mondo. Ma il nostro chiodeggia un po’ tutte le crode del Friuli, e non solo.
Oggi diverse montagne sono punteggiate da vie di scalata che portano la sua
firma, dalla semplice palestra di roccia arroccata in posti inaccessibili alle
salite di notevole impegno alpinistico. Mauro però non si limita all’Italia,
avventurandosi fino in Groenlandia per una spedizione e volando in California a
toccare con mano le leggendarie pareti della Yosemite Valley.
Quando ne ha voglia, ama anche scribacchiare. Un amico giornalista un giorno
decide di pubblicare alcuni dei suoi racconti sul quotidiano “Il Gazzettino”.
E’ da qui che comincia, all’inizio un po’ in sordina, una nuova attività, quella
di scrittore, che lo porta alla pubblicazione di sei libri, dal 1997 fino a
oggi.
Per puro divertimento partecipa alla realizzazione di alcuni documentari sulla
sua vita e prende parte ad un film-denuncia sulla catastrofe del Vajont.
Durante tutto questo tempo Mauro non trascura gli affetti e riesce anche a
crearsi una famiglia, che tuttora vive con lui.
A detta di molti è introvabile. Alcuni dubitano persino della sua esistenza,
come si dubita di quella di Pessoa. Altri si vantano di essersi addentrati nei
misteri della sua bottega-studio, che sembra scavata in un tronco di cirmolo.
Mauro intanto continua ad occuparsi tranquillamente del suo lavoro. Alterna
solitari momenti di studio e di scrittura a conferenze, incontri e
manifestazioni, continua a realizzare figure lignee ispirandosi alle forme e
alle cose che lo colpiscono durante meditabonde passeggiate tra i boschi della
Val Vajont. Va a correre in montagna e porta i figli a scalare. Quando cala la
sera a volte lo potete incontrare in osteria che sorseggia un buon rosso con gli
amici. A volte più di uno.
Alcuni libri, quelli sottolineati, li potete
leggere o scaricare
Come sasso nella corrente
(ed. Mondadori 2011)
In una stanza immersa nella penombra un donna, giunta all'autunno della vita, si
muove lentamente appoggiandosi a un bastone. Intorno a lei sculture di ogni
tipo. La donna le sfiora e insegue il ricordo di un uomo. Un uomo schivo,
selvatico, che però ha saputo rendere eterno nel legno il sentimento che li ha
uniti. Ogni statua evoca un episodio della vita avventurosa che quell'uomo ha
vissuto e amava condividere con lei, le difficoltà di un'infanzia di povertà e
abbandoni, in cui la più grande gioia era stare con i fratelli e i nonni attorno
al fuoco, la sera, imparando a intagliare legno, o sentire la vibrante intensità
della natura durante una battuta di caccia. Ogni angolo arrotondato delle
sculture fa affiorare in maniera dirompente l'orgoglio e la rabbia di quel
giovane che, crescendo, aveva voglia di farcela da solo, cancellando le ombre
del passato che lo tormentavano. Ma quei profili, quelle figure che ancora
profumano di bosco, raccontano anche che l'amore può trovare pieno compimento
solamente nella trasfigurazione, nel sogno, perché l'unica via per non rovinare
quel sentimento vero e cristallino è allontanarlo dalle mani dell'uomo che,
nella sua intrinseca incapacità di essere felice, finirebbe inevitabilmente per
sprecarlo. Dai boschi che Mauro Corona ci ha insegnato ad ascoltare e ad amare
si leva in questo romanzo una voce nuova, per molti versi inaspettata, a tratti
dolente ma non perciò men energica.
La ballata della donna ertana (ed. Mondadori 2011)
Dopo aver celebrato le sue montagne e i loro segreti e aver dato vita a epici
personaggi nati tra i boschi, Mauro Corona presta la sua voce calda e potente a
una donna, per raccontarne la vita costellata di sventure ma sorretta da un
incrollabile coraggio. Come tante madri e mogli vissute in società patriarcali,
la protagonista di questa ballata è tormentata dalla fatica dei giorni e dalla
brutalità degli uomini: alle spalle ha il lavoro nei campi o dentro casa, gli
abusi di un marito violento, anni svuotati di ogni gioia tranne l'amore per i
figli. Davanti a sé nessuna speranza, se non l'attesa della morte per "mettere
le ali e volare in paradiso". Finché un giorno dei forestieri arrivano in paese
per costruire una diga, portando finalmente un po' di benessere... Ancora non
sa, la donna ertana, che il 9 ottobre del 1963 sarà proprio quella diga a
provocare l'apocalisse. In questa grande ballata Mauro Corona canta la forza e
l'orgoglio di tutte le donne capaci di affrontare a testa alta le durezze del
destino e lo fa attingendo al dialetto della sua terra, una lingua impastata di
sudore e sangue, schioccante come i rami che si spezzano sotto il peso della
neve, dolce come la carezza di una madre.
La fine del mondo storto
(ed. Mondadori 2010)
Un giorno il mondo si sveglia e scopre che sono finiti il petrolio, il carbone e
l'energia elettrica. È pieno inverno, soffia un vento ghiacciato e i denti
aguzzi del freddo mordono alle caviglie. Gli uomini si guardano l'un l'altro. E
ora come faranno? La stagione gelida avanza e non ci sono termosifoni a
scaldare, il cibo scarseggia, non c'è nemmeno più luce a illuminare le notti. Le
città sono diventate un deserto silenzioso, senza traffico e senza gli
schiamazzi e la musica dei locali. Rapidamente gli uomini capiscono che se
vogliono arrivare alla fine di quell'inverno di fame e paura, devono guardare
indietro, tornare alla sapienza dei nonni che ancora erano in grado di fare le
cose con le mani e ascoltavano la natura per cogliere i suoi insegnamenti. Così,
mentre un tempo duro e infame si abbatte sul mondo intero e i più deboli
iniziano a cadere, quelli che resistono imparano ad accendere fuochi, cacciare
gli animali, riconoscere le erbe che nutrono e quelle che guariscono. Resi
uguali dalla difficoltà estrema, gli uomini si incammineranno verso la
possibilità di un futuro più giusto e pacifico, che arriverà insieme alla tanto
attesa primavera. Ma il destino del mondo è incerto, consegnato nelle mani
incaute dell'uomo... Mauro Corona ancora una volta stupisce costruendo un
romanzo imprevedibile. Un racconto che spaventa, insegna ed emoziona, ma
soprattutto lascia senza fiato per la sua implacabile e accorata denuncia di un
futuro che ci aspetta.
Il canto delle manére
(ed. Mondadori 2009)
"Occorre sapere che ogni albero è buono. Non fa niente a nessuno, un albero, sta
fermo in piedi, massimo muove la punta nel vento. Ma se uno con la scure gli
tira via la natura, che è quella di stare in piedi, l'albero si muove. E
muovendosi senza gambe, perché le ha tagliate, cade giù. Allora bisogna saper
dove cade, farlo andare al posto giusto, se no batte e torna indietro con una
forza che rompe il mondo".
Lo sa bene quanto sia pericoloso il suo mestiere Santo Corona della Val Martin,
il più grande dei boscaioli, colui che è capace di recidersi di netto una
striscia di peli dal polpaccio senza intaccare la carne con un solo colpo della
sua manéra, l'ascia che per lui e tutti gli altri taglialegna è come la spada
per il samurai.
Se esiste ancora, nella narrativa contemporanea, uno spazio per l'epica,
un'ampia porzione di questo territorio è occupata dall'opera di Mauro Corona.
L'epica di Corona è spontanea, non è costruita e atteggiata secondo le pose
postmoderne; è la voce profonda di un mondo in via di estinzione ma che ancora
ha la forza di testimoniare la sua antica esistenza arcaica e brutale, eppure
pervasa di una poesia della natura capace di incanto e di imprevedibili
dolcezze.
Santo della Val è il classico eroe vittima del proprio orgoglio: per orgoglio si
rovina la vita costringendosi ad abbandonare il paese natale e a errare nell'Esempòn,
ovvero in terra straniera, randagio per i boschi dell'Austria, per orgoglio deve
alzare ogni volta la posta delle sue sfide, per orgoglio rinuncia all'amore, per
orgoglio è destinato a non trovare mai pace.
Il mondo di Corona, che sempre più lettori hanno imparato a conoscere e amare,
il mondo dei monti aspri, dei boschi bui, degli inverni gelidi e dei risvegli
miracolosi delle stagioni, il mondo in cui i diritti della natura sono più forti
e più sentiti di quelli degli uomini, questa volta si fonde, in maniera
imprevedibile e imperiosa, con un altro dalle leggi completamente diverse,
quello della cultura. L'esilio amaro sarà infatti temperato dagli incontri con
Hugo von Hofmannsthal, con Robert Walser e con una comunità di scrittori che, in
una sorta di valle dell'Eden, mostreranno a Santo, sia pure per un attimo breve,
come la vita possa essere anche altro da un perenne, velenoso agone.
Storia di neve
(ed. Mondadori 2009)
Neve Corona Menin, l'unica bambina nata nel gelido inverno del 1919, è una
creatura speciale. Tutti lo capiscono quando, con il semplice tocco della sua
mano, alcuni compaesani in punto di morte guariscono miracolosamente. In effetti
Neve altro non è che la parte buona della strega Melissa - guardiana di un
raccapricciante inferno di ghiaccio -, tornata sulla Terra per riparare i torti
commessi in vita. Il padre di Neve però non tarda a vedere in questo dono
misterioso un'occasione per arricchirsi e organizza insieme ad altri cinici
compari una serie di finti miracoli, che attirano schiere di malati pronti a
pagare pur di ottenere la grazia dalla piccola santa e innescano una spirale
inarrestabile di ricatti, violenza e delitti...
Cani, camosci, cuculi
(e un corvo)
(ed. Mondadori 2008)
E' delizioso ascoltare a primavera il canto del cuculo che annuncia il ritorno
alla vita. Ma se il cuculo facesse sentire il suo richiamo d'inverno?
Allora gli uomini dei boschi si sbircerebbero di sottecchi nelle cucine fumose,
dove i cani sonnecchiano inquieti, in attesa del peggio. Perchè gli animali
conoscono meglio dell'uomo il mistero della vita e della morte.
Il lettore non troverà tuttavia in questo libro, che per situaizoni e atmosfere
è da annoverare tra i più caratteristici di Corona, nessun momento idilliaco,
fiabesco, nessun apologo in cui il rapporto tra l'uomo e l'animale risponda alla
logica scontata cui ci hanno abituato tante narrazioni esemplari.
La relazione tra l'uomo e le bestie qui è dura, scontrosa, fatta di
incomprensioni, quando non di vere e proprie crudeltà. Gli uomini cacciano i
camosci e ne mangiano il fegato, sparano ai galli forcelli, maltrattano i cani.
Quando la vita è dura per tutti la spietatezza, la mancanza di indulgenze e di
tenerezze sono la norma. Eppure, proprio per questo, gli attimi in cui si
manifesta un'amicizia rimasta per anni senza parole e senza espressione o quelli
in cui il dolore per la perdita di un cane amico fa conoscere all'uomo la
commovente profondità di un intimo legame raggiungono un'intensità sublime.
Tanto più straziata quanto più silente.
L'aria che circola in queste pagine di Corona si fa fine, a volte dolce, a volte
tagliente, ombre passano tra gli alberi, un semplice sguardo umido, affettuoso,
di rimprovero o di riconoscenza, dice più di tante parole. Racconti di fatti, di
gesti e di silenzi, storie tramandate da generazioni che, come sempre in Corona,
ritornano circolarmente e di nuovo e per sempre affascinano, tra verità e
leggenda.
Fantasmi di pietra
(ed. Mondadori 2008)
"Ormai è l'autunno, tutto torna a dormire, tutto scompare nella pace
dell'inverno imminente. Anche i rumori vanno in letargo come ghiri nelle tane.
Le case tacciono, ascoltano, sentono la neve depositarsi sui tetti. Quelle senza
tetto la ricevono dentro i muri, sui solai, nelle cucine distrutte. La visita
della dama bianca entra nel cuore delle case sgangherate. Il paese abbandonato
guarda a tramonto con gli occhi malinconici delle finestre senza vetri, sospira
adagio con la bocca delle porte sfondate. Era un bel paese, il nostro, adesso
non c'è più."
Erto. Un paese abbandonato, silenzioso, fermato in un'istantanea il giorno 9
ottobre 1963, quando il fianco del monte Toc precipitò nell'invaso del Vajont.
Eppure quelle case, quelle cucine, quelle stalle, di cui restano solo i muri
insidiati dall'abbraccio delle edere e delle ortiche, sono ancora abitate. È una
popolazione di fantasmi che Mauro Corona suscita ripercorrendo porta a porta,
casa per casa, le quattro strade deserte che un tempo risuonavano di voci, del
suono degli strumenti di lavoro, della vita di ogni giorno. Una tazza, una
falce, una gerla, un secchio da mungitura, una bottiglia lasciata a metà di quel
vino che dava forza e smemoratezza, ogni oggetto richiama in vita, nella memoria
di Mauro Corona, un personaggio, un fatto buffo o tragico, una leggenda, una
storia d'amore o di terrore, come un vento di tempesta o un soffio di primavera.
Camini spenti, senza più né fuoco né cenere, dalla cui bocca sembrano uscire
voci famigliari e perdute per narrare, prima che il tempo le cancelli, antiche
storie di uomini e di spettri, di animali benefici e maligni, di piante
venefiche e tau-maturgiche, di diavoli ghignanti e scherzosi.
Ne nasce un racconto commovente ed esaltante che si snoda, come nel celebre
concerto di Vivaldi, lungo l'arco delle quattro stagioni: inverno, primavera,
estate, autunno. Schiere di anime riprendono corpo e ci uniscono a loro, per un
breve istante, mosse da una inappagata sete di vita; bambini scomparsi tornano a
scivolare veloci nel cuore ghiacciato della vecchia Erto; spiriti maligni
ansimano nelle soffitte; la Vecia de Or, che prega una Madonna dal volto di
uomo, burla fino alla morte chi cerca avidamente il suo tesoro; nella casa del
Solitario si gioca alla morrà: mai soldi, solo vino; dichiarazioni di eterno
amore, suppliche, bestemmie, incise sugli intonaci di San Rocco rievocano un
amore o un odio; in un'ampolla è conservata l'acqua limpida in cui si sciolse il
corpo di Neve Corona Menin, la fanciulla di ghiaccio; la voce del piffero magico
risuona nelle notti di luna piena. Uomini, animali, piante e cose, ognuno
riaccende la propria scintilla di vita.
Con I fantasmi di pietra Mauro Corona ha scritto l'Antologia di Spoon River di
un paese perduto chiamato Erto.
Vajont: quelli del dopo (ed. Mondadori 2006)
Fu come un colpo di falce. Il 9 ottobre 1963, alle 22.45 duemila persone e un
intero paese furono cancellati per sempre. Più di quarant'anni sono passati e il
ricordo dei morti è ancora sospeso sulla valle. Anche se i fatti di quella
terribile notte diventano sempre più lontani, quel passato resta inciso sulla
pelle di chi l'ha vissuto. Come Mauro Corona, lo scrittore-alpinista di Erto; e
come i personaggi di questo testo inedito. All'osteria del Gallo Cedrone sei
uomoni si ritrovano a discutere fuori dai denti, tra un bicchiere e l'altro,
sulle responsabilità della tragedia; sul dopo Vajont, su chi ci ha guadagnato e
chi ci ha preso. Dalle loro parole ruvide e coinvolte emergono accuse, notizie,
fatti. E soprattutto il ritratto di un piccolo popolo pieno di inestinguibile
dolore, ma mai vinto.
L'ombra del Bastone
(ed. Mondadori 2005)
Un grosso Quanderno Nero, di quelli usati per tenere i conti del latte
dacagliare, giunge tra le mani di Mauro Corona. Porta in calce la data 1920 ed è
firmato Severino Corona detto Zino.
Il quaderno è consunto, le pagine appiccicate l'una all'altra, ma lentamente,
con la punta del temperino infilata tra foglio e foglio, Mauro Corona riesce ad
aprirlo e a decifrarlo.
Ciò che nel quaderno è scritto, in calligrafia appena leggibile, è la
confessione di un uomo, Zino, che il destino o la vendetta della strega Melissa,
ha spinto, contro la sua volontà, sulla via della perdizione. Nella solitudine,
tra le pietre e la neve, i branchi di capre e i campi di fieno sui campi dei
monti che sovrastano il Vajont, la voglia di sesso è il demone scatenante che fa
nascere storie di violenza e di morte. Così è la voglia sfrenata, fino alla
follia e all'istigazione al delitto, che prende di Zino la moglie di Raggio, il
più caro amico di Zino. Maledizione di Melissa, la strega della caverna
assassinata e gettata in foiba dai falciatori; colpa della brama di vivere dove
vivere non si può se non secondo le immutabili leggi di una natura atavica e
selvaggia che non concede nulla se non a prezzo di fatica e dolore.
Mauro Corona ci dà finalmente il romanzo atteso, la cronaca non più della sua
vita, ma la storia di Raggio e di Zino, di Maddalena Mora e di Neve, la bambina
di ghiaccio, di tutti coloro che lassù, sui suoi monti, lo hanno preceduto.
L'ombra del bastone è un "Malavoglia" friulano di lotta perduta contro il
destino, così la voglia di femmina, folle di sesso e di dolore, è una "Lupa" che
sa di fieno e latte cagliato.
Mauro Corona, affascinato dalla storia del Quaderno Nero, ne conserva il
linguaggio naturale, duro e carezzevole, talora stravolto, dove ferocia e pietà
sono le due facce di quella stessa moneta gobba che è la vita distorta da una
povertà atavica impastata di fatica, di sangue, di sesso, di stregoneria, di
oscure potenze racchiuse da sempre nelle cose, negli alberi, nelle rocce, nelle
esistenze di maschi e femmine bruciate da un fuoco inestinguibile o pietrificate
dal gelo. La vita presa a morsi come una forma di pane duro. Saggezza e follie
antiche come le montagne camminano insieme, orfane che mettono paura. La vita è
un dono, la morte è la norma che si annuncia con quel bastone che riappre,
fantasma in cerca di vendetta, appeso a un muro di osteria dopo aver
attraversato, lordo di sangue, il ventre stesso della terra. Ma, luminosa, come
un lucignolo nel buio assoluto, si affaccia la storia della piccola Neve , dove
il male si trasforma in bene, la bambina che non sentiva il freddo e che si
scioglierà come ghiaccio al sole: poche gocce d'acqua, conservate in una
bottiglia posta ancora oggi sulla mensola del camino di Mauro Corona.
"Storie del bosco antico"
(ed. Mondadori 2005)
In un tempo molto lontano, un Dio paziente e divertito ripara ai torti e ai
piccoli errori del suo creato, ascolta le lamentele degli animali più deboli,
esaudisce i desideri più buffi, si prodiga perchè non ci siano ingiustizie. Così
il becco di un'aquila spietata si scontrerà contro la roccia e diventerà curvo;
l'allocco stufo di essere richiesto della sua dottissima pinione riuscirà ad
ottenere in dono un'espressione sciocca; il ghiro che soffre di malinconie
invernali sarà omaggiato di un sonno profondo; la lucertola sempre acchiappata
per la coda ne otterrà una "fragile come cipria". Miti e leggende di un bosco
che diventa sacro per chi lo conosce e lo ama come Mauro Corona.
Tradotto anche in cinese.
"Aspro e dolce"
Il romanzo di una vita. La festa e la morte nel fondo di un bicchiere (ed.
Mondadori 2004)
L'epopea di un paese e dei suoi abitanti, narrata in prima persona da Mauro
Corona, protagonista e sciamano.
Uomini di foreste e bevute, donne di coraggio e fatica, femmine sciccose per
rompere la solitudine di una sera, tra una sbronza e una rissa. La fantasia e la
rabbia, la gioia di vivere, la festa e la morte riportate alla memoria in
un'ennesima levata di bicchieri, brindisi alla vita, l'aspro e il dolce
assaporati insieme. Autobiografia di un uomo, romanzo fatto di avventure, di
beffe e di omeriche bevute, il libro è anche la storia di un intero paese
distrutto e rinato, a suo modo, dalla catastrofe. Immancabile sfondo è la
natura, madre e matrigna di uomini, animali, piante e rocce. Padre benigno e
traditore quel vino amato e odiato, fiume viola che inganna la paura, riversato
in bicchieri sempre colmi e sempre vuoti come sono i giorni della vita.
"Nel legno e nella pietra"
Storie di piante, rocce e uomini (ed. Mondadori 2003)
"Mauro Corona è un uomo leale, scala montagne in stile pulito, scolpisce legno
seguendo la vena e la luna, scrive libri e storie di persone vere e perciò
rare." Erri De Luca
Con Nel legno e nella pietra Mauro Corona consegna ai suoi lettori il primo
grande libro della sua vita.
Novantatrè storie, e un epilogo, legate tra loro da una inconfondibile voce
narrante, danno vita ad una sterminata epopea del Vajont dove lui, Mauro Corona,
è protagonista e narratore. Una ridda di volti e personaggi che sembrano cavati
"nel legno e nella pietra", folli ed eroici, sobri e bevuti, ammiccanti tra
boschi, dirupi montani e panche di osteria. Sono spaccapietre e carbonai,
streghe e boscaioli, bracconieri e cacciatori: bevitori impenitenti, selvatici,
violenti, ma facili alla commozione come fanciulli. Sono vecchie,
madri-coraggio, venditori ambulanti di ciotole, mestoli di legno, setacci e pale
da forno; sono fantasmi benevoli e maligni, spiriti dei boschi che conoscono il
linguaggio delle foglie edel vento, anime inquiete che popolano le valli, i
burroni, gli scabri sentieri del Vajont.
C'è l'epica delle scalate impervie, vittorie e sconfitte annegate nel vino,
esultanza e paura, scarogna e fortuna, chiodi, corde, picozze, mente lucida e
muscoli tesi ad abbracciare la roccia.
Per le pagine corrono, appaiate, la Vita e la Morte, entrambe figlie del
Destino, la buffoneria e la tragicità, la malinconia e la baldoria, la
dabbenaggine e la furbizia, la scabra quotidianità e i colori, spesso cupi,
della leggenda. Attorno ci sono le foreste, il legno vivo degli alberi, l'occhio
dei laghi alpini, i ghiacci, la neve, un bestiario onnipresente di uccelli,
cani, capre, serpi, volpi, camosci, cervi, caprioli.
Il libro, poderoso, si chiude con la serie delle sedici "Storie dei dannati di
pietra" che inizia epicamente così: "Quando si avvicinava il giorno dei morti,
sulla cava di marmo del monte Buscada, calava il silenziodell'inverno". Perfino
la vita infernale dei cavatori è tuttavia illuminata da una speranza: scoprire,
tra gli spaccati del marmo, gli "occhi di pescecane", bolle solidificate come
perle nere. Tra esse ce n'è una, ancora più preziosa, la perla di cielo, dal
colore azzurro: una incalcolabile fortuna per chi la troverà, unica, come è
unica, nella vita, la fortuna quando arriva.
Il nocciolo duro del libro è una moralità semplice e aspra, che corrisponde al
senso dell'onore, dove i vecchi maestri impartiscono vitali insegnamenti con
antica sapienza.
Tradotto anche in cinese.
"La montagna"
(ed. Biblioteca dell'immagine 2002)
Edizioni Biblioteca Dell'Immagine Di Santarossa G.&C. S.A.S.
(AGLI ULTIMI ARTIGIANI DELLA VALCELLINA)
Chiacchierata con ventun giovani all'osteria "Gallo Cedrone" in una notte di
primavera del 2002
La natura sta correndo un grosso rischio. Il rischio di piegarsi su se stessa e
morire avvelenata come un fiore annaffiato da varechina. L'acido
dell'inquinamento, dello sfruttamento, della superproduzione, del consumismo ad
oltranza, della conquista dell'inutile, sta intossicando il pianeta.
Cercare di opporsi al disastro che si profila è compito di tutti.
Questo discorso, fatto ad un gruppo di studenti in una vecchia osteria di Erto
in ora tarda, è un tentativo di mettere sul chi vive la coscienza dei giovani,
perchè saranno loro in futuro a proteggere la salute del creato.
"Le parole che danno corpo a questo libercolo non vogliono, nè potrebbero, avere
pretesa letteraria giacchè sono più o meno l'esatta sbobinatura (parola orribile
meglio sarebbe trasposizione) dell'incisione in nastro e CD che va a completare
il contenuto del cofanetto. Si è avuta cura di lasciare le frasi tali quali come
potranno essere udite in voce, togliendo al massimo le ripetizioni che
immancabilmente un discorso diretto, e soprattutto fatto ad una certa ora della
notte, porta con sè. L'irruenza istintiva cha fa capolino nel trattare un tema a
me caro come la montagna, ha prodotto un testo a volte venato di polemica e a
tratti anche retorico. Spauracchi che i depositari del "come si deve scrivere"
cacciano all'Inferno assieme all'autore senza benefici di condizionale. Ma
quando ci vuole ci vuole. Perciò queste pagine non contengono letteratura in
forma di racconto, romanzo, poesia o quant'altro. Sono uno sfogo, una protesta,
una richiesta d'attenzione ai giovani che oggi più che mai ha buon motivo di
essere espressa."
Mauro Corona
"Il volo della martora"
(Vivalda Editore 1997)
Nelle brevi storie di questo libro di Corona troviamo la durezza, l'asprezza
della vita nelle strette e impervie valli delle montagne friulane.
Riviviamo così il mondo chiuso dei paesi, ascoltando l'eco delle città che
risale dalla pianura lungo la Valcellina, portato dai mercanti che macinano
chilometri nel loro commercio di manufatti di legno.
Disponibile anche in tedesco e in francese.
PREMIO ITAS 1998 DEL LIBRO DI MONTAGNA "CARDO D'ARGENTO"
Il 9 ottobre 1963 una fetta del Monte Toc precipitò nel lago del Vajont
sollevando un'immensa ondata che spazzò la valle e travolse tutte le case che
trovò sul suo cammino.
Vi furono più di 2000 morti: una catastrofe immane. In quel momento qualcosa
andò perduto per sempre: non solo le vite umane, ma tutto un mondo irripetibile
che rivive ora, come per miracolo, in questo libro di Mauro Corona.
L'autore aveva solo 13 anni quando avvenne la tragedia. Non abbandonò la sua
valle, ma rimase abbarbicato alle rocce, figlio dei boschi e fratello degli
animali, conservando con cura nella memoria le immagini del passato. I
ventisette racconti che compongono Il volo della martora formano un affresco
unitario: la storia di tante vite di fatica e sofferenza. E' una storia di
uomini e donne semplici, e anche di animali e di alberi, perchè anch'essi hanno
un'anima e parlano a chi li sa ascoltare
"Le voci del bosco"
(ed. Biblioteca dell'immagine 1998)
Edizioni Biblioteca Dell'Immagine Di Santarossa G.&C. S.A.S.
PREMIO NAZIONALE DI LETTERATURA NATURALISTICA 2002 PARCO della MAJELLA
2° PREMIO per la Sezione "Narrativa Edita" "Le Voci del Bosco"
"Storie di alberi e uomini"
"Ho passato quasi cinquant'anni di vita nei boschi e ho parlato con gli alberi.
Gli alberi non si spostano, ma possiedono un loro carattere che comunicano in
vari modi, anche con la diversa reazione che hanno nei confronti di chi li
tocca. In queste righe si parla di loro e di uomini: a volte bene e altre
male... e così il cattivo, senza quasi rendersi conto, proverà simpatia per il
sambuco, il buono per il larice, il sempliciotto per il faggio, l'elegante per
la betulla, il cocciuto per il carpino e via dicendo..."
Le pagine di questo libro non contengono un trattato di botanica e nemmeno
parole di assoluta verità. Ciò che in esse vi si potrà leggere sono "verità
personali" suscitate da riflessioni indotte da oltre quarant'anni di vita nei
boschi e dialoghi con le piante. Durante questo lungo tempo, ho capito che
tutto, in natura, ha un proprio carattere, una personalità, un linguaggio, un
destino.
Osservando e ascoltando con attenzione il creato, è possibile udire la sua
voce...
Gli alberi non si spostano, ma possiedono un loro carattere che comunicano in
vari modi: con la bellezza, con l'oscillazione delle fronde, con la consistenza
delle fibre. E anche con la diversa reazione che hanno nei confronti di chi li
tocca. In queste righe si parla di loro e di uomini: a volte bene e altre
male... e così il cattivo, senza quasi rendersi conto, proverà simpatia per il
sambuco, il buono per il larice, il sempliciotto per il faggio, l'elegante per
la betulla, il cocciuto per il carpino e via dicendo... Mauro Corona
"Finchè il cuculo canta"
(ed. Biblioteca dell'immagine 1999)
"Finché il cuculo canta vale la pena di ascoltarlo. Il cuculo porta la primavera
e con essa la speranza. Compongono queste pagine racconti di uomini, rocce e
camosci. Li ha fatti nascere quel canto, sotto il sole giovane di due primavere.
A primavera tornano i ricordi. Narrano storie accadute, drammatiche, dure,
qualcuna ironica, che hanno attraversato la vita dei protagonisti da parte a
parte. Lo sfondo, dove si muovono come ombre lontane, è la natura, forte, dolce,
spietata, la quale, come disse Pessoa, "mai si ricorda e perciò è bella". E' un
omaggio all'epopea degli ultimi, a un mondo ormai scomparso, ad un paese
abbandonato popolato dai fantasmi del passato. E' un po' tornare tra le sue vie,
tra le sue case, con quella gente. Storie riemerse dall'oblìo, venute fuori dai
ciottoli della contrada San Rocco, vicino alla chiesa, dove sono cresciuto
assieme ai miei coetanei, dove per secoli ha pulsato il cuore della vecchia
Erto".
Dov'era finita Valnea che sognava il principe azzurro? Perchè non parlava più e
desiderava qualche stella alpina? E le altre: Filomena, la Giobba, chi erano?
Vittime di un destino a dir poco spietato, hanno percorso il sentiero con la
gerla della sfortuna, sono andate via dalla vita con quella del dolore.
Gustìn era un uomo senza fede ma, a quarant'anni, venne folgorato sulla via del
paese. Gli uomini non hanno pace, non riescono a stare tranquilli. Cosa li
tormenta? Molti scalano la carriera, altri le montagne per vie pericolose. A
volte, in questa pratica, succedono incidenti che portano alla morte, altre
volte accadono episodi ridicoli, spassosi. Qualcuno sentenzia che la natura
gioca brutti scherzi, invece la natura non reagisce, non si vendica. Se ne sta
lì impassibile.
Ognuno di noi è passato attraverso varie esperienze d'iniziazione. Una di queste
per me è stata la caccia. Ho bevuto il sangue del camoscio per impadronirmi
della sua forza. Ho avuto dei maestri duri, cinici, spietati, altri buoni e
comprensivi. Entrambi mi hanno formato, dei secondi conservo un buon ricordo.
Con la caccia ho chiuso da tempo, non ho rimpianti nè rimorsi, è andata così.
Gli animali hanno un'anima, provano degli affetti. Alcuni sono per l'uomo una
compagnia, un antidoto alla solitudine, come il corvo Franz, sfortunato
protagonista di uno di questi racconti.
L'aquila Ala Monca l'avevo ferita negli affetti, voleva vendicarsi.
Il giovane boscaiolo Merìsi sfidava la morte, forse la cercava.
Il boscaiolo della Luna, invece, sfidava l'arroganza dei capi-taglio e li puniva
umiliandoli.
Storie minime che narrano un'epopea degli ultimi ormai scomparsa, finita,
spazzata via dal progresso, vinta dall'uomo "che non deve chiedere mai".
Ma la natura, nonostante le aggressioni, rimane ancora forte, viva, presente e
accompagna tutti questi racconti. Fino a quando portà resistere non lo so.
L'uomo "che non deve chiedere mai" è già avanti nella sua opera devastatrice.
Mauro Corona
"Gocce di resina" (ed. Biblioteca dell'immagine 2001)
La resina è il prodotto di un dolore, una lacrima che cola dall'albero ferito.
Quelle gocce giallo miele, non scappano, non scivolano via come l'acqua, non
abbandonano l'albero. Rimangono incollate al tronco, per tenergli compagnia, per
aiutarlo a resistere, a crescere ancora.
I ricordi sono gocce di resina che sgorgano dalle ferite della vita. Anche
quelli belli diventano punture. Perchè, col tempo, si fanno tristi, sono
irrimediabilmente già stati, passati, perduti per sempre.
Gocce di resina sono piccoli episodi, aneddoti minimi, spintoni che hanno
contribuito a tenermi sul sentiero.
Proprio perché indelebili sono rimasti attaccati al tronco.
Come fili di resina emanano profumi, sapori, nostalgie.
Tutto quello che ci è accaduto, o che abbiamo udito raccontare ha lasciato un
segno dentro di noi, un insegnamento, o , quantomeno, ci ha fatto riflettere.
La vita, nel bene e nel male, è maestra per tutti.
RIVA DEL GARDA (TRENTO), 30 MARZO 2014 - "Per me
questo premio ha un valore diverso, non solo perché Mario Rigoni Stern e le sue
pagine mi hanno commosso". Così Mauro Corona, che ha ricevuto a Riva del Garda
il Premio Mario Rigoni Stern per la letteratura multilingue delle Alpi con La
voce degli uomini freddi. "La mia scalata - ha aggiunto - è stata al contrario e
per me, questo premio, è il riscatto da una vita scellerata.
Quando tornerò a casa mi dirò che forse ce l'ho fatta a uscire dall'inferno". .