Il Canal del Ferro

(Cjanâl dal Fiêr in friulano, Fella in tedesco) è una vallata montana della
provincia di Udine attraversata dal fiume Fella, che separa le Alpi Carniche
dalle Giulie.
Il nome, che ufficialmente compare sui documenti fin dal XIII secolo, ma che
risale, nell'uso popolare, ai romani, è derivato dal traffico del ferro e di
altri metalli che sin dai tempi più remoti si sviluppò tra le miniere di Stiria
e Carinzia e i porti dell'Adriatico.
Il Canal del Ferro è una vallata aspra e stretta, con fianchi ripidi e alti,
coperta di basso bosco interrotto da roccioni, piccoli ghiaieti e da coste
sporgenti che scendono come quinte al fondovalle.


Ha origine a Pontebba, alla confluenza della Val Pontebbana da nord con la Val
Canale da est. Qui la valle piega verso sud attraversando Dogna e Chiusaforte,
dove, raccolte da sinistra le acque della Raccolana, curva verso ovest ed arriva
a Resiutta e Moggio Udinese. Infine, dopo un'altra curva verso sud, dopo un
breve tratto le chiare acque del Fella si mescolano con le più scure acque del
Tagliamento, presso Amaro.
Nei tempi moderni vi fu costruita la strada statale 13 detta Pontebbana, che da
Venezia conduceva verso l'Austria. Fu rammodernata, rettificata e allargata dopo
il terremoto del 1976.
Era percorsa anche dalla vecchia ferrovia Pontebbana, a singolo binario, di cui
sono ancora ben visibili le ardite opere, tra cui i ponti in ferro. La vecchia
linea ferroviaria venne dismessa negli anni '90 del Novecento dopo la
costruzione della nuova ferrovia Udine-Tarvisio, a doppio binario e adatta alle
alte prestazioni dei mezzi moderni, che scorre prevalentemente in galleria ed è
visibile solo in alcuni viadotti.
Anche l'autostrada A23 percorre la valle con lunghi tratti sospesi fra le
gallerie, deturpandone un po' la bellezza naturale.
Chiusaforte

Col Badin

rappresenta una vera risorsa storica e culturale: essa consente di
conoscere le tragiche vicende umane di chi ha combattuto in Valcanale e Canal
del Ferro durante la prima guerra mondiale e rappresenta un elemento importante
per un’attrazione turistica,
Dogna

Fin dai Tempi più antichi la storia di Dogna è strettamente legata a quella del
Canal del Ferro, luogo di transito e di commercio in tempo di pace e di
scorrerie in tempi più oscuri.
Lungo la valle del Fella, proprio per la sua facilità di transito, si è sempre
assistito ad un continuo passaggio di popoli e di culture.
Ognuno di questi ha contribuito a costruire un pezzetto di storia del paese,
lasciando importanti tracce e testimonianze.
Nel VII – VIII secolo d.c., l’alta valle del Fella viene invasa da popolazioni
slave che si insediano, oltre che a Resia, anche a Raccolana e a Dogna.
Molti toponimi, tra cui lo stesso nome del paese (Dogna, da Dolenji che sta a
significare “posta in basso”), testimoniano quest'ultima occupazione.
Nel corso dei secoli, le vicende del piccolo centro montano si intrecciano con
la storia dell’Abbazia di Moggio e risentono anche del dominio della Serenissima
Repubblica di Venezia, di quello francese e di quello austriaco.
Ma è sicuramente il ‘900 il secolo in cui la storia e il territorio di Dogna
subiscono i cambiamenti più profondi. L’entusiasmo con cui i valligiani avevano
salutato la costruzione della Ferrovia Pontebbana, vero capolavoro di ingegneria
alpina, lascia ben presto posto a sentimenti più drammatici : il paese e la sua
valle escono fortemente provati dalla Prima Guerra Mondiale. Nemmeno la Seconda
Guerra Mondiale risparmia Dogna: le numerose incursioni aeree che mirano ad
abbattere il viadotto ferroviario riportano nuovamente terrore e distruzione fra
la gente.Nel 1976, anche Dogna viene colpita dal disastroso terremoto che mette
in ginocchio l’intero Friuli.
Costumi
Sono rimaste alcune testimonianze tratte da un elenco portato in dote in un
matrimonio celebrato nel 1603 (in esso troviamo la descrizione di alcuni capi di
vestiario quali "camisotti" di tela, corpetti in panno, camicie di lino,
panciotti e così via). Nel Canal del Ferro i costumi non si discostavano di
molto rispetto a quelli carnici.
Il costume popolare femminile dei secoli XVIII e XIX .

Al primo posto il "fazzùl", sciarpa di tela di lino lunga e stretta che finiva
con guarnizioni di pizzo o frange. A questo subentra alla fine del XVIII secolo
il "fazzolet di cjàf", accompagnato dal "fazzolet di cuel" di tinte vivaci,
tranne per le donne anziane o a lutto, si portavano sia sull'abito da lavoro che
da festa.
Il capo più importante, a volte unico, della biancheria intima era la camicia,
la "cjamese", fatta di canapa grezza per il lavoro; le camicie fini erano invece
di cotone e di lino con orlature di trine.
Alla fine del '700 compare la "còtule sot", la sottoveste, usata nella tenuta da
lavoro, lunga fino al polpaccio.
La gonna "còtule" faceva parte del vestito "la vieste", molto ampia con diversi
teli e lunga fino alle caviglie; essa, increspata alla cintola, si univa ad un
bustino o corpetto, il "cas", senza maniche dal quale uscivano le maniche della
camicia. Per la festa e nelle occasioni speciali, questi due capi erano uniti e
i colori si adattavano alle circostanze.
Il vestito si completava con il grembiule, il "grùmal", leggero e ricamato con
disegni vivaci, pesante e grossolano per i lavori invernali.
Riguardo alle calzature, imperava da secoli il "scarpèt",

realizzato dalle donne in
casa, fino al primo dopoguerra, con la suola trapunta fittamente da vari strati
di tela ritagliati secondo la misura voluta e poi ricoperto con tela o velluto,
impreziosito sulla punta di ricami floreali a colori vivaci.
Per l'inverno e per le giornate di cattivo tempo, tanto le donne quanto gli
uomini, usavano la dàlmina, "dàlmine", zoccolo d'acero scavato a barchetta con
la punta rialzata.

Il costume popolare maschile dei secoli XVIII e XIX .
Scarni i ricordi del costume maschile, spartano e quasi sempre uguale nella
foggia, tranne che per la diversità dei tessuti.
Esso era composto dai calzoni, i "braghessis", di panno fermati sotto il
ginocchio, la giacca "camìsole", senza maniche chiusa sul davanti con molti
bottoni, il panciotto "petoràl", la camicia con polsini lunghi, talvolta
ricamata, bianca per i giorni di festa. Le calze erano di lana grezza e bianche
durante le festività.
Sella Nevea
(Nevee in friulano, Na Žlebeh in sloveno), in provincia di Udine è una nota
località di sport invernali sorta negli anni '60/'70 in comune di Chiusaforte a
1.190 m nella conca tra il Monte Canin e lo Jôf di Montasio. Proprio sul Canin
si snodano diversi chilometri di piste da sci, che dall'inverno 2009 sono
collegati con gli impianti di Bovec/Plezzo nella vicina Slovenia.


Sella Nevea era conosciuta come località sciistica già negli anni trenta del
secolo scorso mentre lo sviluppo attuale della località risale agli anni
sessanta. Da allora sono stati creati duemila posti letto, ubicati in
costruzioni di vario tipo. Un innevamento naturale abbondante (Sella Nevea
risulta spesso essere il posto più nevoso delle Alpi) è la fondamentale
peculiarità della stazione sciistica.
Durante la Prima Guerra Mondiale e precisamente durante la rotta di Caporetto la
sella fu teatro di aspre battaglie di sfondamento da parte dell'esercito
austro-tedesco e di strenue difese (Sella Buia e Sella Prevala) da parte
dell'esercito italiano in ritirata. Da sempre utilizzata come alpeggio e meta di
sporadici sciatori, lo sviluppo moderno di Sella Nevea inizia nel 1965, quando,
dopo una lunga trattativa tra il Comune di Chiusaforte e Isa Nevea, l’architetto
Giacomo Della Mea presenta in consiglio il piano di utilizzazione edilizia.
Sebbene fosse previsto che lo sviluppo edilizio avvenisse attraverso la
costruzione di villini isolati, dopo la morte di Della Mea (1968), tra il 1969 e
il 1972, si decise di optare per costruzioni molto più massicce, frutto del boom
economico.
Questo allontanamento dai piani originari venne ritenuto da alcuni un tentativo
di speculazione edilizia, i quali asseriscono che, anche se l’architettura delle
costruzioni è sufficientemente in linea con il contesto paesaggistico, essa non
ha saputo valorizzarlo. Nel 1967 vennero approvati i progetti della funivia del
Canin, della sciovia "rossa" del Poviz
e dell'hotel Canin,

due anni dopo, nel 1969, si
potenzia la linea elettrica; il 12 dicembre 1970, a fronte di un investimento di
oltre mezzo miliardo di lire, viene inaugurata la nuova funivia che serviva la
pista del Canin,

e la sciovia a valle e
già da allora si comincia a pensare a un collegamento sciistico con la
Jugoslavia, l'entrata in funzione degli impianti di risalita e della pista è un
avvenimento per l'intera valle; il completamento della località come appare oggi
avviene negli anni settanta e inizio degli anni ottanta.

Sella Nevea è oggi una località di sport invernali: sci da discesa, sci di
fondo, snowboard, pattinaggio su ghiaccio, trekking e sci alpinismo; quest’
ultimo in particolare sembra trovare in Sella Nevea il suo teatro ideale, sia
per la bellezza degli itinerari che per l'elevata nevosità. Le piste più lunghe
sono la Canin e la Bila Pec, entrambe lunghe circa 2,5 km; la pista Bila Pec è
sede di gare di coppa Europa e viene spesso utilizzata come sede di gare
internazionali e come pista di allenamento per discipline veloci (supergigante e
discesa libera).
Sebbene sia conosciuta soprattutto per gli sport invernali, Sella Nevea è
frequentata anche durante l’estate, come centro di alpinismo, ed è anche un
importante centro speleologico grazie ai celebri abissi dell’altipiano del Canin.
Moggio Udinese

(Mueç in friulano è un comune italiano di 1.831 abitanti della provincia di
Udine in Friuli-Venezia Giulia.

Moggio Udinese sorge a 341 m s.l.m. alla confluenza del Canal del Ferro con la
Val d'Aupa. Il paese, che si divide nei due nuclei di Moggio di Sotto (341 m) e
Moggio di Sopra (381 m), è circondato dalle alte vette delle Alpi Giulie e delle
Alpi Carniche: a sud domina il gruppo del Plauris (1.958 m), a ovest la piramide
calcareo - dolomitica del monte Amariana (1.906 m), a nord si ergono imponenti
la Creta Grauzaria (2.065 m) e il Zuc dal Bôr (2.195 m), mentre a est vi è il
gruppo del Canin. Il comune conta poi diverse frazioni, alcune ormai disabitate;
esse sono:
Bevorchians 690 m Campiolo 290 m Dordolla 620 m Grauzaria 525 m
Moggessa di qua 510 m Moggessa di là 530 m Monticello 840 m Ovedasso 420 m
Pradis 477 m Chiaranda 422 m Stavoli 567 m Bevorchians, o Bevorcjans in
friulano, si trova in alta val d'Aupa ed è formata da circa 15 fra borghi,
casali e agglomerati sparsi situati tra 630 e 970 m di altitudine. Da essa sono
possibili innumerevoli escursioni.
Ritrovamenti archeologici e numismatici attestano l'esistenza di una vedetta o
castelliere di epoca romana, che dal colle di Santo Spirito dominava buona parte
della valle del Fella.
Nell'XI secolo il conte Cacellino, nobile carinziano, conte palatino e supremo
maestro della corte imperiale, possedeva vasti territori in patria e in Friuli,
fra cui il castello di Moggio. Disponendosi a partire per la Terra Santa nel
1070 o 1072 secondo la leggenda avrebbe lasciato i suoi beni al cugino Federico,
patriarca di Aquileia, per edificare nel luogo del castello un monastero
benedettino, che godesse delle rendite e dei possessi del castello. Il 9 giugno
del 1119 il patriarca Voldarico I fece consacrare il monastero di Moggio da
Andrea Emona (vescovo di Cittanova d'Istria). Il monastero fu intitolato a San
Gallo, come il celebre monastero in Svizzera del quale il patriarca era stato
abate. Per accrescere il prestigio della nuova abbazia il patriarca le concesse
vasti beni in Carinzia, in Friuli e in Carnia. Accordò inoltre la supremazia
sulle pievi di Cavazzo, di Dignano e di Gorto.
Dopo la bolla di Lucio III (1185) gli abati moggesi furono immediatamente
soggetti solo alla Santa Sede. L'abbazia fu saccheggiata dai soldati germanici
dell'imperatore Corrado IV. Ghiberto da Marano sul Panaro, contemporaneo e
vicario generale del patriarca Bertrando di San Genesio, ne fu abate dal 1329 al
1349, anno in cui venne assassinato. Dall'abate dipendevano parrocchie o cure,
sulle quali esercitava la propria giurisdizione per mezzo di pievani, curati o
cappellani, secolari o regolari, nominati da lui; l'amministrazione avveniva per
mezzo di camerari, che erano tenuti a presentarsi per la visita di omaggio ogni
anno, nella solennità della consacrazione del monastero od in quella del santo
patrono San Gallo (16 ottobre). Per la giurisdizione temporale, l'abate era
feudatario del patriarca di Aquileia ed aveva piena ed intera giurisdizione con
mero e misto impero compreso il jus sanguinis e con molte alte prerogative,
sopra l'intera valle del Fella e sulla villa di Baiuzzo in Friuli. Aveva diritto
di voto nel parlamento del Friuli. I documenti di XIII e XIV secolo enumeravano
146 possessi fondiari.
Con il Quattrocento la giurisdizione e l'amministrazione dell'abbazia venne
affidata dagli abati, divenuti commendatari, a loro vicari e procuratori. Nel
1420 passò nel territorio della Repubblica di Venezia. San Carlo Borromeo fu
abate di Moggio dal 1561 al 1566
Con la morte del conte Felice Faustino Savorgnano (1773) la chiesa abbaziale
venne convertita a semplice chiesa parrocchiale e la giurisdizione feudale posta
all'incanto e acquistata per 44000 ducati dai signori Mangilli e Leoni che
assunsero il titolo di marchesi di San Gallo. Soltanto con il 1869 papa Pio IX
restituì alla pieve di Moggio il titolo di chiesa abbaziale.
Moggio passò nel 1815 con il Congresso di Vienna sotto il dominio dell'Austria.
Con la terza guerra di indipendenza (1866) entrò a far parte del Regno d'Italia.
Durante la prima guerra mondiale fu sede del comando militare del settore Val
Fella e del distaccamento a Bevorchians. Nel 1917 il ponte di ferro sul Fella
che univa Moggio alla strada statale venne fatto saltare dagli artificieri
italiani in occasione della rotta di Caporetto[5].
Nel 1976 il comune subì danni consistenti dal terremoto del Friuli.
L'abbazia di San Gallo
è un monastero (di clausura dal 1985) situato sul colle di Santo Spirito, in
località Moggio di Sopra, nel comune di Moggio Udinese (UD).
L'abbazia benedettina fu fondata nel 1085 da Federico di Moravia, patriarca di
Aquileia, ma probabilmente in precedenza vi era una stazione di osservazione
romana, come si deduce da una lapide che è murata in una colonna del chiostro.
L'abbazia fu consacrata dal patriarca Ulrico di Eppenstein nel 1119 ed era
dipendente dall'Abbazia di san Gallo in Svizzera. In breve tempo acquisì il
dominio su tutta la valle. Inoltre, gli abati di Moggio ebbero diritto di voto
nel Parlamento della Patria del Friuli e le loro contese per questioni
confinarie, prima con i Conti di Gorizia e successivamente con la comunità di
Venzone, coinvolsero nel XIV secolo anche i duchi d'Austria. L'abbazia fu
soppressa nel 1776.
Nel corso del XVI secolo ne fu abate commendatario san Carlo Borromeo. L'antica
torre, che per secoli era stata sede dei giudizi abbaziali, nel 1800 venne
trasformata in carcere.
L'abbazia fu semidistrutta dal terremoto del Friuli del 1976, dopo essere stata
danneggiata da quelli del 1348 e del 1511.
Dal 1985 è un monastero femminile di clausura dell'Ordine di Santa Chiara.
La Creta Grauzaria

è una montagna davvero
splendida, per certi versi misteriosa, senza dubbio una delle più amate dagli
escursionisti e alpinisti friulani. Con il vicino Monte Sernio e il Monte
Palvierte forma una vera e propria “isola” dolomitica nel cuore del Friuli, ben
riconoscibile anche da molto lontano. E’ una cima molto ambita delle Alpi
Carniche anche se tutte le vie richiedono buona esperienza di montagna e
conoscenze alpinistiche. Il tracciato che descrivo in questa scheda è l’anello
della Grauzaria, forse una delle salite delle quali sono più fiero e
probabilmente quella che mi ha impegnato di più. E’ anche però una di quelle che
non ripeterei, certe “avventure” è meglio che rimangano nella memoria. Questo
itinerario è veramente durissimo, ci sono molti saliscendi impegnativi, canaloni
detritici spesso franati, tratti attrezzati in discesa da non sottovalutare,
passaggi su roccia non banali che possono essere problematici soprattutto dopo
ore di cammino. In ogni caso il lato meridionale della Grauzaria è davvero
magnifico, molto selvaggio, con delle torri dolomitiche molto affascinanti ( tra
tutte la famosa Medace ). L’anello si può dividere in più parti: il sentiero
“Arturo Ferrucci” fino al bivacco Feruglio; la via ferrata “Cengle dal Bec” fino
alla base della gola; la salita fino al Portonat sul Lavaron de la Crete; la via
normale alla cima; il ritorno al Rifugio Grauzaria e quindi alla macchina.
Pontebba
(Pontêbe in friulano, Pontafel in tedesco, Tablja in sloveno) è un comune
italiano di 1.527 abitanti della provincia di Udine in Friuli-Venezia Giulia.

L'abitato è attraversato dal torrente Pontebbana, che fino al 1919 segnava il
confine italo-austriaco, dividendo il paese in due comuni: Pontebba (Italia-Provincia
del Friuli) e Pontafel (Austria Ungheria-Carinzia).

Tale antico confine,
risalente all'epoca veneziana, ha costituito per secoli una barriera non solo
politica ma anche culturale tra la Val Canale (di lingua slovena e tedesca) e le
altre valli friulane. Il torrente Pontebbana confluisce nel fiume Fella che
costeggia il paese scendendo dalla Val Canale.
Frazioni: Aupa (friul. Aupe) Frattis (friul. Frattis) Pietratagliata (friul.
Perteade o Pieretaiade).Laglesie San Leopoldo (friul. La Glesie, slov. Lipalja
vas, ted. Leopoldskirchen) - questa frazione è abbastanza famosa nel campo della
linguistica, perché è stata più volte oggetto di indagini rientranti nel suo
ambito: infatti proprio qui (fino a 20-30 anni fa) viveva un numero rilevante
(ora in continuo decremento) di persone parlanti correttamente (oltre
all'italiano) anche tutte le altre lingue che si parlano in Friuli-Venezia
Giulia riconosciute come minoritarie dallo Stato italiano (lingue friulana,
slovena e tedesca). Tuttavia il Comune di Pontebba rientra solo nelle liste dei
Comuni con minoranze storiche friulanofone e germanofone e non rientra quindi
nella lista dei Comuni con minoranze storiche slovenofone.
Studena Alta (friul. Studene Alte) Studena Bassa (friul. Studene Basse)
Per lungo tempo la Val Canale ricadde nella giurisdizione del vescovo di
Bamberga (Baviera). Il Canal del Ferro gravitava invece nell'area italiana, coi
feudi patriarcali dell'Abbazia di Moggio Udinese prima e con la Carnia di
amministrazione veneziana poi. Per i quattro secoli del dominio della
Serenissima, il confine con i territori austriaci passò proprio per Pontebba.
C'era allora una Pontebba Veneta e una Pontebba imperiale (Pontafel), separate
dal torrente Pontebbana. Pontafel prese il nome di Pontebba Nuova nel 1918 con
l'annessione all'Italia e venne unito a Pontebba il 15 agosto 1924. Il 20
settembre 1926 venne accorpato a Pontebba anche l'ex comune di La Glesie San
Leopoldo.
Nel 1976 il comune fu devastato dal terremoto del Friuli, che provocò enormi
crolli e danni.
Passo di Pramollo

Il Passo di Pramollo, è un valico alpino posto a quota 1.530 m che collega
l'Italia e l'Austria. Fa parte del comune di Pontebba in provincia di Udine.
Il passo sale con una strada tortuosa da Pontebba, nel Canal del Ferro, in
Italia, e scende quindi verso il paese di Tröpolach in Austria, nella valle del
Gail (Gailtal in tedesco). Il confine tra l'Austria e l'Italia si trova proprio
in cima al passo.
Il passo di Pramollo è una località sciistica, con gli impianti prevalentemente
dalla parte austriaca, ed è il più grande comprensorio sciistico della Carinzia,
con i suoi 110 km di piste e 30 impianti. Gli impianti di risalita rimangono in
funzione anche nella stagione estiva come collegamento con le vette circostanti.
In entrambe le lingue italiana e tedesca il toponimo allude all'antica presenza
di zone paludose sul valico (Pramollo = "prato mollo"; Nassfeld = "campo
bagnato" o "campo fradicio"), in prossimità del quale si trova oggi un laghetto
alpino.
Nella prima domenica di Agosto si svolge la tradizionale "Festa dell'Amicizia
Fiuli/Carinzia" organizzata dai comuni di Pontebba e Hermagor.
Resia

(Rezija in resiano e sloveno, Rèsie in friulano) è un comune italiano di 1.098
abitanti della provincia di Udine in Friuli-Venezia Giulia. Si tratta di un
comune sparso, e la sede comunale è nella frazione di Prato di Resia

La Val Resia è situata nella parte nord-orientale della regione Friuli-Venezia
Giulia. È una valle alpina che si estende in direzione ovest-est per 20 km. Ad
est la valle è chiusa da un massiccio montuoso, del quale il Monte Canin (2587
m) rappresenta il punto più alto. Tale massiccio segna il confine fra l'Italia e
la Slovenia. La valle si raggiunge dal casello Carnia-Tolmezzo dell'autostrada
A23 in direzione di Tarvisio arrivando dopo 10 km circa a Resiutta e seguendo il
bivio per la Val Resia.

La valle è suddivisa in 5 principali frazioni che sono, da ovest a est, San
Giorgio, Prato di Resia,
Gniva,

Oseacco

e Stolvizza

Vi sono inoltre le borgate
di Lipovaz, Crisaze, Gost, Lischiaze, Coritis e in una adiacente valle più a
sud, Uccea.
L'aspetto più importante della valle, oltre all'indiscussa importanza
linguistico-culturale, è il profilo naturalistico. Immersa com'è in una conca
verde su cui vegliano i picchi del Canin, innevati per buona parte dell'anno,
merita una visita sia per un contatto diretto con la popolazione dei borghi, sia
per le piacevoli escursioni in una delle più suggestive vallate alpine. Vi è
ubicata la stazione meteorologica di Resia.
Le origini di Resia sono legate all'insediamento della sua popolazione nella
vallata, che si fa risalire al VII secolo. I resiani sono i discendenti di
quelle popolazioni di ceppo slavo che giunsero in Italia al seguito degli Avari
e dei Longobardi e che, abbandonando il nomadismo, qui presero dimora. Un tempo
isolata tra i monti Musi a sud e l'imponente massiccio del Canin

ad est e a nord, Resia
rappresenta per la cultura un'isola linguistica e di tradizioni estremamente
importante. Il singolare dialetto che vi si parla è stato ed è tuttora oggetto
di molti studi, si custodiscono così e si tramandano tradizioni (costumi, canti,
balli, cerimonie) di grande interesse. Dal punto di vista storico, essendo
soggetta alla giurisdizione dell'Abbazia di Moggio, ne seguì le vicende nel
corso dei secoli. Rivestì una certa importanza sotto il dominio veneziano per la
difesa delle selle di Carnizza e di Guarda che permettono di raggiungere la
valle dall'Isonzo in Slovenia. A questo scopo vi fu nella vallata la presenza di
una guarnigione militare con fortificazioni a Stolvizza e a San Giorgio.
Nel 1976 il comune fu devastato dal terremoto del Friuli, che provocò enormi
crolli e danni.
Tarvisio.
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