Paularo

 

 

Paularo (Paulâr in friulano è un comune italiano di 2.737 abitanti della provincia di Udine in Friuli-Venezia Giulia.

Paularo si trova a 648 m s.l.m. (casa comunale) in Val d'Incarojo, nella regione montana della Carnia ed è circondato dai monti Sernio (2.187 m) e Tersadia (1.959 m), Zermula (2.143 m) e Dimon (2.043 m) a nord, Cimon di Crasulina (2.104 m) a ovest e Salinchiet (1.857 m) a est. Dista 24 km da Tolmezzo e 66 da Udine.

È difficile ricostruirre gli eventi storici di Paularo a causa della limitata documentazione scritta, in gran parte distrutta dai vari eventi che colpirono la cittadina (fra cui l'incendio del 24 dicembre 1709 che distrusse l'archivio dell'allora comune di Villamezzo).

Il territorio di Paularo sembrerebbe essere stato da sempre una zona di transito e conserva tracce dell’uomo fin dai tempi più remoti. Sono stati infatti rinvenuti oggetti in selce, risalenti al Paleolitico medio, nel corso della sistemazione di una strada in una zona compresa tra le località di "Cason di Lanza" e "Valdolce" ed altri strumenti dello stesso tipo, riferibili invece al Mesolitico, nel territorio di "Casera Valbertad", a circa 1600 metri di quota, nei pressi del Passo di Cason di Lanza.

Gli scavi effettuati nella frazione Misincinis, tra la fine del 1995 e il 1999, hanno riportato alla luce un numero significativo di materiali, databili tra la fine dell'VIII e il I secolo a.C. In particolare sono state ritrovate 145 tombe a incinerazione di una necropoli, i cui corredi si riferiscono alla cultura di La Tène e testimoniano la presenza di popolazioni celtiche e transalpine.

Testimonianza di insediamenti tardo-romani, sono una tomba situata nella frazione di Misincinis e i resti di una strada lastricata e di un fortilizio nella località "Chiastilirs", ad est di Paularo, nelle vicinanze della frazione di Dierico.
 

La frazione di Dierico
Sono giunte solo sparse testimonianze di primi nuclei abitati nei secoli successivi e Paularo sembrerebbe non avere subito grandi vicende storiche nel corso del medioevo, ad eccezione forse di una storia locale dal sapore leggendario che attribuisce ad una grotta, in località "Cason di Lanza", il nome di Grotta di Attila.

La prosperità della vallata è legata al dominio della Repubblica di Venezia, a partire dall’inizio del XV secolo, quando la Serenissima vide nei boschi una fonte di ricchezza per il suo arsenale. Un importante evento fu la battaglia contro i Turchi, sconfitti nel 1478 sui Piani di Lanza.

Nel Settecento, a Paularo, Jacopo Linussio, grande imprenditore dell’industria tessile in Carnia impiantò degli stabilimenti; questo fu un periodo molto fiorente per tutta la conca paularina. La dominazione prima napoleonica prima e quella austriaca invece coincisero con un periodo di grande precarietà per il paese, le industrie caddero in declino e molti abitanti emigrarono.

Con l'annessione al regno d'Italia nel 1866, Paularo divenne una località di villeggiatura; vi soggiornarono anche il poeta Giosuè Carducci e la scrittrice Caterina Percoto che ne decantarono la bellezza della natura.

Paularo è il paese natale di Manlio Scopigno (1925-1993), allenatore di calcio che portò il Cagliari alla conquista dello storico scudetto nella stagione 1969-70.

A Paularo risiede il maestro Giovanni Canciani (1936), illustre musicista e uomo di cultura, fra le cui opere è doveroso annoverare la partitura Carnorum Regio, vero e proprio inno della Carnia. Il maestro è anche il curatore della Mozartina.

 

 

Paularo e i suoi palazzi

 

Mozartina (Paularo)

Si tratta di un museo privato nel quale è possibile ammirare quanto di più prezioso il suo proprietario, Giovanni Canciani, è riuscito a raccogliere durante gli anni. La collezione è costituita da numerosi strumenti musicali antichi, in gran parte restaurati, tra cui un organo positivo portativo, due fortepiani, due clavicembali, un prototipo di flauto armonico ad ancia, violini, strumenti a plettro, a pizzico e pianoforti moderni. Ogni stanza della settecentesca casa, già Scala, contiene, oltre agli strumenti musicali, oggetti di vario tipo (quadri, libri, ecc.) che ripropongono l'incanto trasmesso dalla loro storia e riempiono l'atmosfera del sapore del passato.

La Mozartina è costituita da un edificio completamente ristrutturato dopo l’incendio del 1709, quando tutta Villamezzo, la notte di Natale, andò in fiamme. Le sue origini risalgono probabilmente al 1500; lo si evince dalla bifora centrale e anche dal portale che ci rimanda allo stile Luigi XIII. Sobria, seppure elegante, ha una disposizione interna molto razionale per cui si presta alla sistemazione degli strumenti, pur conservando lo spirito di una casa viva e accogliente.

La settecentesca casa Scala ospita una particolare raccolta di strumenti musicali a tastiera che in sintesi rappresenta la storia dell’organo, del clavicembalo e del pianoforte. Collocati su tre piani, gli strumenti non sono esposti nelle sale secondo i criteri tradizionali utilizzati nelle esposizioni museali, ma fanno parte dell’arredo di una casa signorile e agiata di musicisti benestanti del periodo barocco e romantico.
In questo spirito il visitatore avverte attraverso strumenti, mobili quadri, suppellettili ed altri oggetti della vita quotidiana la presenza quasi viva dei musicisti ai quali la casa è dedicata. E certamente Mozart, il “primus inter pares” (da cui La Mozartina), sembra che faccia capolino in ogni sala.
Accanto agli strumenti a tastiera sulle pareti figurano strumenti ad arco, a pizzico e a plettro. E tutti hanno una storia da raccontare. Alcuni di questi, come l’organo Testa del 1650, hanno la caratteristica dell’unicità. La raccolta è arricchita da manoscritti settecenteschi di musiche inedite di importanti autori stranieri. Così pure nelle librerie figurano pregiate edizioni antiche di teologia, filosofia e storia.
La raccolta offre una panoramica timbrica della storia di questi strumenti, in quanto la maggior parte di essi, fatta eccezione per alcuni strumenti in restauro, sono perfettamente agibili.

La Mozartina con il suo contenuto di strumenti musicali, custodisce un riferimento museale specialistico; motivo di assidua curiosità da parte di visitatori di varia estrazione culturale. Il bianco fabbricato che la ospita ha le dimensioni di una casa unifamiliare e conserva infatti gli elementi costruttivi dell'originaria destinazione abitativa, che si distingue per l'elegante geometria 'toscaneggiante' con finestre contornate da pietra modanata e il portale dell'ingresso finemente decorato a rombi. MDCCXLV la data scolpita sulla chiave di volta. Al centro, il cartiglio con lo stemma dei marchesi Del Negro: due leoni visti di lato occupanti l'uno la parte superiore con direzione a destra, l'altro la parte inferiore con direzione a sinistra.
Una casa signorile piuttosto che una rassegna espositiva, in cui gli strumenti musicali si inseriscono ordinatamente nell'ambiente famigliare sia pure corredato con dovizia di suppellettili: un museo vivo, composto da strumenti antichi restaurati ed esposti per essere suonati oltre che guardati.
Ogni stanza della settecentesca casa contiene alcuni di questi strumenti, ambientati in un arredo che ripropone una dimora in cui la musica può essere studiata, ascoltata e creata. Sono tangibili le analogie tra la Casa della famiglia Mozart e la "Moozartina" la cui emblematica denominazione teneramente femminile, ribadisce il maestro Canciani, vuol significare l'affettuoso omaggio al grande salisburghese ed un ricordo dedicato ai suoi amici, in particolare al carnico Gussetti, uno degli intimi della famiglia Mozart, spesso ospite a Salisburgo.
A partire dalla prima quota di calpestio, l'esposizione degli strumenti musicali si articola nei vari piani secondo un itinerario ragionato, concludendosi nell'accogliente mansarda idonea ad ospitare occasionali riservate manifestazioni concertistiche.
L?organo positivo-portativo di Gian Battista Testa (1640-1660) simile a quelli che si usavano in Roma nel XVI seccolo, s'impone, appena sfiorato dal soffitto a crociera, nella stanza-forestiera del piano terra, dove gli ospiti possono sostare intorno al tavolo centrale come per un incontro conviviale. Il maestro Canciani, che lo suona con l'orgoglio di chi ha vinto una grossa battaglia, ama raccontare la storia dello strumento; le avventurose vicende attraverso le quali ne venne in possesso; come riuscì a renderlo funzionante.
A dire il vero, tutti gli strumenti distribuiti in tre piani hanno avuto una loro storia, che Canciani conosce bene per averli individuati,
 

                      

 

                                                

CORT di TARUSC (Villamezzo)   

Nella frazione di Villamezzo è possibile ammirare da una piazzetta due edifici di proprietà della famiglia TARUSSIO, presente sul territorio paularese fin dal diciassettesimo secolo. Il primo edificio rappresenta uno dei tipici esempi di casa carnica, con, al suo interno, alcune opere lignee di Giacomo Sbrizzai detto "Crociul". A dirimpetto, si erge l'altro edificio, accessibile attraverso un bellissimo portale d'ingresso che chiude il muro di cinta, E' possibile visitare i due edifici grazie alla gentile disponibilità degli attuali proprietari.

 

Palazzo CALICE-SCREM (Paularo)

Costruito nel XVI secolo, viene considerato il prototipo della casa carnica. Si tratta di un imponente complesso architettonico articolato in più edifici. Di notevole pregio gli ampi loggiati ad archi sorretti da eleganti capitelli sagomati. Singolare il soffitto a cassonetto del primo piano dipinto da Giuseppe Buzzi nel 1716. L'annessa casa fu acquistata dal Comune di Paularo ed è ora sede della biblioteca comunale "Antonio Sartori". A questo secondo edificio fu incorporata la cappella, ora sconsacrata, di Sant'Antonio.

 

Palazzo VALESIO-CALICE (Villafuori)

Situato su un'altura di Villafuori, il palazzo domina quasi completamente il capoluogo. L'edificio, costruito in vari tempi, è composto da due ali e disposto su un ampio cortile interno chiuso da un muro di cinta merlato. Di notevole pregio è il portale che riporta l'emblema della famiglia. La villa visitabile nei mesi di luglio ed agosto.

Palazzo FABIANI (Paularo)

Situato nel centro del paese, l'edificio risale indicativamente alla metà del XVII secolo. La tradizione lo vuole fatto erigere da un certo conte Mocenigo per una Silvia Calice della quale si era innamorato. Il padre della ragazza pretendeva per la figlia un palazzo simile per bellezza al suo, posto sull'altra riva del fiume Chiarsò. Mocenigo accettò la sfida ma ci vollero 10 anni per arrivare alla copertura del tetto, e nel frattempo il conte preferì alla giovane Calice un'altra donna. Il palazzo fu dimora della famiglia di Jacopo Linussio ed ospitò numerosi personaggi illustri tra cui Giosuè Carducci.

 

Palazzo MOROCUTTI (Trelli )  ( La casa dei miei genitori )

Il palazzo, costruito nel 1631 come testimonia la data riportata sul suo portale, fu da sempre chiamato "il convento", probabilmente a causa della sua particolare struttura architettonica, cinta da un muro e sorretta da numerosi archi. Si tratta di uno dei pochi edifici antichi rimasti nella frazione di Trelli.

CJAVEC (Paularo)

Merita di essere ricordato anche uno dei più antichi borghi di Paularo, "CJAVEC". Situato in vicinanza del Palazzo Fabiani, il borgo presenta le tipiche caratteristiche dello stile carnico.


 

LE DODICI CHIESE DELLA VALLE D’INCAROJO

 

Chiesa parrocchiale di Paularo

 

 

  Sul terrazzo prospicente il borgo di Paularo nell'omonima valle, al cospetto solenne dei monti che la circondano, solitaria e signora, domina protettrice la chiesa parrocchiale, dedicata ai santi Vito, Modesto e Crescenza. L'edificio attuale si presenta in una struttura neoclassica, opera del protomastro tolmezzino Domenico Schiavi, architetto del settecento che lasciò in Carnia un suo stile e diversi edifici armoniosi e signorili.

  Lo Schiavi operò nella chiesa parrocchiale di Paularo su altro edificio assai in rovina ed il cui deperimento si deve certo agli eventi naturali, alluvioni e terremoti che turbarono la Carnia alla fine del 1600-1700. Conservando il corpo centrale della vecchia chiesa, nell'anno 1745, col contributo di due giornate lavorative della popolazione ebbe inizio la costruzione del coro che prese posto dov'era l'entrata della chiesa precedente, mentre al posto dell'abside primaria fu posta l'entrata, sotto un pronao ionico disegnato dall'architetto udinese G.B. Bassi.

  Dell'edificio precedente si ha memoria sino dal sec. XIII, e si dice fosse dipinto « Per mano d'eccellente pittore quale dicesi essere stato allievo del Pordenone famoso, e questo chiamarsi Giulio Urbano da Tarcento ». Dei dipinti del Giulio Urbano non vi è conservazione alcuna e così dicasi di quello che secondo documenti d'archivio doveva essere il famoso altare ligneo dorato,  sostituito con l'attuale in marmo nel 1747, per donazione di  Jacopo Linussio. Non è da escludere che tale altare possa essere andato  perso e che il tabernacolo dorato che trovasi sull'altare del Cristo sia una reminiscenza. All'interno il complesso si presenta ad un'unica navata ad angoli arrotondati su cui poggia il soffitto convergente in linee architettoniche verso l'affresco. Lesene decorano le pareti, dove in quattro archi sono ricavati gli altari delle Anime purganti, di S. Valentino, opere pittoriche del Pellizzotti; della Vergine del Rosario, che si vuole portata dall'Ungheria e legata ad una serie di vicende a tinta rosa; del Cristo, scultura assai bella, forse reminiscenza della chiesa precedente. Tra l'altare della Madonna del Rosario e del Cristo, in una nicchia v'è posta una buona scultura di scuola altoatesina raffigurante la Vergine Addolorata, dono dei reduci.della guerra 1915-1918. Oltre il corpo centrale, leggermente rialzata ed abilmente risolta l'abside, in cui trova posto l'altare marmoreo principale con le statue dei santi protettori, la cantoria e dipinti del Pellizzotti, Ferigo ed ignoto, che la tradizione dice fosse un parroco.

  Nell'anno 1755, Osvaldo Antonio Franzoi da Dierico, emigrato a Lubiana, commissionò al pittore tolmezzino Antonio Schiavi, l'affresco centrale del soffitto, per un prezzo di 24 zecchini e poi per altri 24 zecchini gli affreschi degli ovati che rappresentano la Natività, l'Adorazione dei Magi, Melchisedech, il sacrifìcio di Abramo, andato distrutto e sostituito con un facsimile per opera di Antonio Ferigo. I quattro evangelisti e l'angelo sopra l'organo sono stati invece commissionati allo Schiavi dal nobile Gasparo Calice di Paularo, per l'importo di 50 ori.

  I dipinti dello Schiavi sono le opere più pregevoli della chiesa e rappresentano la scuola veneziana del settecento (Tiepolo-Piazzetta),anche se meno fastosa ed esuberante. Il colore è arioso e fresco, il tratteggio sicuro. Le figure troneggiano spigliate e disinvolte sulle nubi, peccano però, nei confronti dei grandi maestri veneti, di proporzioni spaziali. La Natività, intima e pastorale, come certi dipinti del Bassano, è l'opera migliore; apprezzabili, l'Adorazione dei Magi ed il Melchisedech.

  Le altre opere pittoriche sono di Giovanni Francesco Pellizzotti, di Antonio Ferigo e d'ignoto, che pure mostrandosi apprezzabili, denotano mancanza di scuola e si rivelano in quel post-settecento del Novelli e Fontebasso. Gli altari scolpiti in marmo bianco e rosato sono barocchi, così può dirsi dell'organo, posto sopra l'ingresso, costruito dal sacerdote dalmata Pietro Macchini nel 1730. All'esterno, sotto il pronao del Bassi, un portone raffigurante i sacramenti, intagliato, su disegno di Raimondo Valesio Calice, dalla locale scuola d'intaglio diretta dal maestro Giacomo Bellina. Una lapide ricorda poi Nicolo Selenati, che dal 1806 fu per 50 anni parroco emerito di Paularo. Adiacente l'edificio, il cimitero, che dona all'ambiente un senso di mesto raccoglimento e di pace.

 

La chiesa della Madonna di Lourdes

   

Vista dall'Esterno                                          Interno della Chiesa

Quasi a sacro rispetto della vetustà della chiesa parrocchiale, al centro di Paularo, tra edifici che spiccano dal verde e sui quali domina un conico campanile, in quadro di pacata serenità montana, la chiesa della Madonna di Lourdes. Nell'anno 1935, essendo parroco di Paularo don Primo Zuliani ed imperversando una crisi morale e materiale che non permetteva momentaneamente l'erezione dell'asilo infantile, fu posta la prima pietra per l'erezione d'una chiesa che facesse da succursale alla scomoda parrocchiale. In un entusiasmo generale che coinvolse la popolazione a prestare il suo contributo lavorativo, l'edifìcio eretto sotto la dirczione di GioBatta Segalla fu Segalla, potè essere consacrato già l'il febbraio del 1936. Era questa una cappella ad unica navata, con altare in marmo bianco di Carrara, sormontato da una grotta in gesso, opera del Segalla, con ivi collocate nella caratteristica lourdeniana le statue della Madonna Immacolata e di S. Bernardetta; ai lati dell'altare altre due statue raffigurante il Sacro Cuore e S. Antonio da Padova, opere lignee di scuola altoatesina di Demez. Nel 1946 la chiesa fa ampliata su disegno dell'architetto Leone Morandini di Cividale, che aggiunse il coro con colonne e soffitto a cassettoni, dipinti poi da Giacomo Bellina su disegno di Raimondo Valesio Calice. Nel 1960 fu portato a termine il campanile e nel 1961 a completare l'opera si costruì l'atrio e vi si pose il portone intagliato da Luigi Tarussio «Giuti'». La chiesa, annessa ad un unico corpo con l'asilo infantile, funge attualmente d'esercizio per tutte le cerimonie religiose.

 

La chiesa di Sant Antonio Abate

Fra le testimonianze storiche collocate come elementi caratterizzanti di Paularo e della sua storia, sono rimasti i muri diroccati della chiesa di S. Antonio Abate. Essa rappresenta un filo tangibile che ci riallacciaal passato, una storia senza la pretesa di grandi avvenimenti, dove gli eventi sono passati silenziosamente, all'insegna del nobile o del signore. Seguendo un ordine cronologico la chiesa fu fatta erigere dai baroni Calice all'annesso palazzo, ora Calice-Gerometta-Screm, e ampliata dal barone Tomaso Calice nell'anno 1674. Priva di stili particolari era ricavata da un'aula maggiore rettangolare, ad uso di mistico raccoglimento familiare. All'esterno un giardinetto creava un quadro atto a rasserenare lo spirito delle anime in cerca di pace.

  Verso l'anno 1935 la chiesa fu sconsacrata e adibita a legnaia, successivamente il bell'altare ligneo asportato ad abbellire qualche collezione d'arte fuori Paularo, il giardinetto distrutto per fare posto ad una strada. Stando al Marchetti c'è da suffragare l'ipotesi che l'altare potesse essere una delle poche opere del Martini in Carnia, e ciò possibile con i baroni Calice. Attualmente quello ch'era un angolo posto alla ricerca d'intima pace spirituale per i nobili di palazzo Calice-Gerometta è un rudere sommerso dal frastuono di un avanzante progresso meccanico e retaggio di un tempo che fu.

 

Sacello di S. Maria di Loreto

Si erge in forma ottagonale tra le abitazioni rurali degli anni 1700-1800 poste nella parte più alta della frazione di Villamezzo. Fu fatto costruire da Giacomo Del Negro nell'anno 1745, forse a luogo di     mistico raccoglimento familiare, ed è uno dei monumenti più belli e caratteristici alla fede in Carnia. Pure mancando di ricercatezze stilistiche, la sua architettura perfettamente s'intona alle case circostanti che lo distinguono e gli danno dignità e potenza. Un piccolo campanile a vela, in pietra avorata, abbellisce il complesso.

All'interno, la presenza di quello che doveva essere un altare con incavo quadrato per la pietra sacra, indica che nella chiesa si celebravano i sacri uffici. Una nicchia, poi, con macchie di colore mostra un dipinto scomparso e forse raffigurante la dedizione del sacello. Per molti anni questa graziosa chiesuola fu adibita a legnaia, pure conservando l'uso del suono della campana, per il passaggio di processioni, funerali o in prossimità di temporali. Prossima al crollo, per volontà di alcuni giovani fu intonacata, ciò salvò l'edificio ma vi tolse quella vetustà che donano le pietre poste alle intemperie.

 

Chiesa di S. Fabiano e S. Sebastiano in Villafuori  

FFu fatta erigere a Villafuori nel 1688 da Giacomo Calice nei pressi del suo palazzo per i suoi familiari e la sua servitù. Più tardi fu posta ad oratorio pubblico con celebrazione dei sacri uffizi, festa solenne il 20 gennaio in ricorrenza della festa dei Ss. Fabiano e Sebastiano, e per una settimana all'anno a metà settembre, allorché, ivi viene portata dalla chiesa parrocchiale la statua della Madonna Addolorata. La chiesetta esteriormente si presenta graziosa nel suo campanile a vela sormontante l'ingresso e richiama il passante a raccolta preghiera. L'intimità interna è rotta dal bell'altare barocco in marmo rosato sul quale fanno bella  figura tré  statue di bianca pietra, raffiguranti la Vergine Immacolata al centro, con ai lati, i Ss. Fabiano e Sebastinao. L'altare indica un certo benessere del proprietario. Negli anni cinquanta alla chiesa furono tolti i quadri per fare posto ai dipinti eseguiti dal proprietario Raimondo Valesio Calice. Annessa alla chiesa, la sacrestia, dove trovano posto alcuni mobili antichi e paramenti sacri di certo valore.Con il terremoto del 1976 la chiesa ebbe a subire dei danni ed i proprietari l'hanno passata alla potestà parrocchiale della chiesa di S. Vito. C'è d'augurarsi che i curati di Paularo e la curia di Udine intervengano, onde dei Calice non si perda altra preziosa opera di bene ambientale e di culto.

 

Chiesa del SS. Redentore a Ravinis

            

E' un quadro posto in un angolo remoto a dominio della valle di Paularo, in praterie dove i pini e i latifogli giocano con linee morbide di colori, ove s'adagia linda e pia la chiesa dedicata al Redentore in Ravinis. Sulla strada che da Paularo s'inerpica al massiccio dello Zermula verso Pizzul, in un andare di dolci strappi, Ravinis, elevato e solitario nei suoi borghi dalle linde casette sovrasta un caseggiato il cui occhio è attratto da un portale atto a proteggere un bei portone intagliato da Luigi Tarussio « Giuti », con figurazioni simboliche del cristianesimo. Chi si sofferma ed entra è accolto da un semplice salone rettangolare cui fa da sfondo l'abside che presenta eretti sull'altare la statua del Cristo a braccia aperte con ai lati la Madonna di Fatima e S. Giuseppe. Una scritta posta ad arco, dice: « Venite a me voi tutti ed io vi conforterò ». Era prima della seconda guerra mondiale 1940-1945 che si parlava di dare una chiesa al borgo di Ravinis, ma solo dopo la guerra essa potè essere eretta dalla ditta GioBatta Segalla fu Giobatta, con l'aiuto finanziario della popolazione e consacrata dall'arcivescovo di Udine monsignor Giuseppe Nogara il 19 luglio 1948. Sorta su terreno offerto da una misantropa, che volle anche la statua della Madonna del Rosario che si trova nel corpo centrale della chiesa, serve per le funzioni religiose agli abitanti di Ravinis, e da qualche tempo elevata al rango di parrocchia.

  Questa chiesa però è destinata ad una festa tutta sua particolare che si celebra l'il ottobre di ogni anno, anniversario del rastrellamento. In quel giorno convengono a Ravinis numerosi pellegrini, reduci dei lagers nazisti, gente fuggita dalle tradotte di deportazione o da posti di blocco tedeschi, persone liberate per intervento fortunoso di qualche autorità, o che di quell'infausto giorno della storia di Paularo hanno labile ricordo d'infanzia. Ravinis, unico borgo esente dal rastrellamento nazista, ha fatto dell'11 ottobre il giorno di sagra del paese e come tale, la chiesa è centro e luogo di raduno.

 

           Chiesa del SS. Redentore sul Monte Pizzul

 

Dare onorata sepoltura ai caduti in guerra è tradizione remota di tutti i popoli d'elevata civiltà, anche se taluno rimane stupito, ma che non meraviglia studiosi di storia e civiltà che affermano: « II     popolo italiano onora la memoria dei morti in guerra come nessun'altro popolo al mondo ». E' cosa ardua quindi sintetizzare in poche parole il complesso quadro legato da vicende a tinta rosa della chiesetta alpina del monte Pizzul. A fine guerra 1915-1918, alcuni giovani di Misincinis portati alla ricerca di viveri e vestiari lasciati dai tedeschi in ritirata, rinvennero una statua raffigurante il SS. Redentore. Era essa stata acquistata dagli alpini che si trovavano a combattere sul monte Zermula, per essere collocata in una cappella che doveva sorgere nel cimitero militare di « Questa di Crignis ». Dopo un periodo di alterne vicende che videro la statua pellegrinare da un luogo all'altro, per volere dei combattenti di Paularo, fu eretta negl'anni 1935-36 una cappella sul monte Pizzul ed ivi definitivamente collocata. Chi sale sul monte Pizzul sperando in un ossario imponente o in un edificio architettonico rimane deluso. Ma se la prima impressione non soddisfa, basta soffermarsi un'istante, rivivere lo spirito degli alpini, guardare intorno, ed allora si capisce che monumento più sacro ed imponente non poteva ergersi. Qui non sono i muri d'un edificio che fanno da monumento ma le rocce strappate e difese al nemico col sangue eroico dei soldati caduti, in un'arco che va dalle Alpi Cadorine alle Giulie; per tappeto il verde cupo dei boschi; per profumo, i fiori alpestri più rari; mentre il piccolo edificio fa solo da simbolo e custodia per la statua del SS. Redentore e da altare. Lassù ogni anno, il mese d'agosto, si reca in pellegrinaggio la popolazione di Paularo, memore a chi su quei monti eroicamente cadde a difesa della Patria.

 

La chiesa di Santa Maria a Dierico

   

Al turista che s'inoltra lungo la valle del Chiarsò improvvisa appare, dopo lo spettacolo delle giogaie dolomitiche del monte Sernio, o la chioma argentea formata dalla cascata di Salino, uno dei paesaggi più pittoreschi della Carnia: Dierico, con in primo piano la sua chiesa, gioiello d'arte che la storia dei tempi ha conservato e tramandato. Una pietra monolitica sotto l'altare ligneo prima e una pergamena del patriarca Ludovico Della Torre datata 1300 poi, dicono che già a quel tempo esisteva la chiesa di S. Maria in Dierico. Un'altra pergamena del 1500 parla della consacrazione dell'altare: complesso architettonico ricco d'intrecci quattrocenteschi con foglie, fiori e ornati decorativi, basati su un gioco di nicchie allineate in tré piani distinti, con quattordici statue, opera mirabile di Antonio Tirone da Bergamo, che altri invece (Gortani-Joppi) attribuivano a Giovanni da Tolmezzo (Marchetti), a Giovanni Martini da Udine, ecc. A dissipare ogni logica attribuzione in merito, considerato che il Tirone da Bergamo ebbe a lavorare nella bottega di Giovanni Martini, fu il ritrovamento nel 1978 da parte di Nazario Screm di un documento importante conservato nella raccolta « Contributi dell'Arte », presso la pieve d'Illegio, ed in cui vi si legge: « 1522 li 15 Agosto Antonio Tirone da Bergamo, Stanziato a Udine dal 1500, si obbliga col  Comune di Dierico d'erigere un altare, col tabernacolo a piedi, e sopravia la Madonna, e nove statue... ». Con il rinvenimento di tale documento crediamo si sia finalmente trovato il vero autore dell'opera. Per quanto riguardano gli affreschi del coro, in una pergamena conservata nella chiesa di S. Vito a Paularo, si legge siano di Giulio Urbano da Tarcento, chi spera però di trovarvi in essi le orme di un grande pittore, che si definiva allievo del Pordenone, rimane deluso, perché sembra l'artista non abbia voluto andare oltre alla pura illustrazione, lasciando alle figure una forma statica da sembrare del trecento; ad ogni modo, all'opera non si può negare un valore storico, in quanto è l'affresco più antico che si trova in zona. Il vecchio edificio negl'anni 1883-1884 ebbe a subire dei restauri dei quali restò esente il solo coro. A seguito del sisma tellurico del 1976, il parroco don Paolo Verzegnassi ha affidato i lavori di riparazione e restauro all'ingegnere Facchin di Tolmezzo che sembra intenzionato a riportare la chiesa allo stato primitivo, togliendo quello che inesperte riparazioni hanno danneggiato, rinvenendo affreschi ricoperti da mani di calce e dando ai muri periferici lo splendore indicato dalla torre campanaria.

 

Chiesa di S. Caterina a Salino

 

                            Vista da Lambrugno                                   SACELLO di Santa Lucia  

 

Sulla strada per Paularo, poco oltre la cascata di Salino in un susseguirsi di ancone indicanti fede genuina e semplice, la chiesa di S. Caterina a Salino. Il quadro presentato dall'edificio è dei più pittoreschi. La chiesa quasi isolata dall'abitato è posta a cavaliere della valle tracciata dal corso del Chiarsò e che va ad ampio orizzonte dallo Zermula al lontano Arvenis. Scenario imponente della natura per un umile tempio a Dio. Una data indica la chiesa come costruita nell'anno 1894, di certo però, essa è sorta su altro edificio precedente, come dimostrato dalla forma e stile del campanile, da altre reminiscenze architettoniche e da un documento storico che indica un curato per la chiesa di S. Caterina in Salino nel 1672. Il carattere stilistico dell'edificio è un neoclassico tardo settecentesco, privo di misurata eleganza ed all'interno un netto contrasto con la bella panoramicità esterna. Tre altari dedicati al SS. Sacramento e S. Caterina, S. Biagio, S. Lucia, pure privi di certo valore artistico, dicono di una gente portata a religiosità profonda e che la chiesa non è solo luogo di culto ma anche di intimo ritrovo spirituale per certi momenti e circostanze.

 

Chiesa della Madonna SS. Ausiliatrice del Monte Castoia

 

Fusa con l'ambiente silvano che la circonda, sul monte Castoia, sopra Salino, esiste dall'anno 1870 una cappella dedicata alla Madonna SS. Ausiliatrice. Fonti popolari vogliono che un uomo di Salino, raccogliendo pietre nel rio Malmedili, sulle falde del monte Tersadia, ne rinvenisse una triangolare su cui era incisa l'immagine della vergine con il bambino in braccio. L'immagine fu deposta in una vicina icona, ma ben tre volte si dice - tornò nel luogo del ritrovamento. Nel 1870, poi, in seguito ad una guarigione, che si ritiene miracolosa, la popolazione di Salino, con fatiche non indifferenti, trasportò sul monte il materiale per costruirvi una cappella, che fu poi dedicata a Maria SS. Ausiliatrice. Dal 1911 al 1930, per un susseguirsi di guarigioni, che si attribuirono alla Madonna, il tempietto fu ampliato più volte, le pareti affrescate dal pittore Monai di Nimis e ricoperte da numerosi ex voto. E' consuetudine che il giorno di S. Maria Ausiliatrice numerosi pellegrini si rechino sul monte Castoia per venerare l'effige della « Madonna del Sasso »; si tratta di una tradizione che vede annualmente in questa giornata o nei sabati che vanno dal 24 maggio al 1° ottobre, giungervi fedeli di tutti i paesi della Carnia.

 

Chiesa di S. Giovanni Battista a Trelli

       

    Vista dall'Esterno                       Interno della Chiesa

 

Un angolo, una pausa di fresco, un pò di trascuratezza se si vuole per chi s'addentra con premura attratto dagli orizzonti più appariscenti del dolomitico Sernio che di fronte sta. Poche linee essenziali di un Rinascimento rudimentale poste a scenografia quasi staccata di un borgo appeso alle falde del monte Tersadia.

I documenti non soccorrono molto su questa chiesa di Trelli, ne quando essa fu costruita o consacrata. Alcuni cenni stilistici fanno pensare intorno al sec. XV; mentre risulta di certo fu ampliata e restaurata nel 1600 per interessamento della famiglia Morocutti. Con caratteristiche proprie, l'interno della chiesa si presenta con due altari, l'uno dedicato a S. Giovanni Battista con tabernacolo per l'eucaristia; l'altro, dedicato alla Beata Vergine del Carmine. Una tela attribuita al Grassi, ma che invece è del Pellizzotti, dona un pò di splendore. Estraniata quasi dalla valle, sembra posta a guardia del borgo di Trelli le cui case si alzano minuscole e quasi strappate a piccole praterie, palpito di un sentimento sincero per il Dio degl'umili.

 

Chiesa di S. Pietro a Chiaulis

 

                              Vista dall'Esterno                                            Interno della Chiesa

 

Per chi s'addentra nei viottoli di Chiaulis, tra angoli di rustiche facciate che mostrano il movimento di un'architettura  agreste d'inusitate prospettive riposanti e gaie, trionfo della pietra e del legno in grazia contadina senza pretese, trova in fondo a questo rustico borgo, quasi chiave d'accesso e di chiusura al paese, la chiesa di S. Pietro. Semplice come il circondario, sulla porta principale mostra Una data, forse l'anno di ricostruzione: 1877. L'interno senza pretese, presenta gl'altari dei Ss. Pietro e Paolo e  di S. Francesco. Dagli ovali della navata, dominano i quattro evangelisti, opera d'affresco del pittore Antonio Ferigo « Belo » da Paularo. Un campanile ristrutturato nel 1882, spande i rintocchi della sua campana per le vie del borgo, fino a che si perdono tra i boschi e le non lontane pendici della creta « Serenata ».